CODEVIGO (PADOVA) - A cinquant'anni di distanza Ettore Lazzaro si porta dietro due ricordi precisi. Un prima e un dopo. «Sono un bambino felice, per me stare a bordo di quello scuolabus è come andare in giostra.
Aveva appena quattro anni. Davvero ricorda nitidamente quei momenti?
«Sì, soprattutto io che galleggio in acqua cercando in ogni modo di respirare. Poi credo di aver perso i sensi e sono stato salvato da un pescatore che per fortuna passava di lì perché si era scordato a casa i remi e stava tornando a prenderli».
Come venne salvato?
«Io e un'altra bambina, Marianna Pozzato, eravamo seduti davanti. Fummo sbalzati in acqua, non so se grazie ad una portiera aperta o ad un vetro rotto. Il pescatore si tuffò e riuscì a mettere in salvo la bambina, poi vide un altro bambino che prendeva il largo e si allontanava. Quel bambino ero io. Lui risalì sull'argine, corse a piedi seguendomi, si tuffò nuovamente e riusci ad afferrarmi portandomi a galla. Tentò in ogni modo di salvare anche la suora senza riuscirci. Morirono lei e i dieci bambini rimasti intrappolati a bordo».
Ha avuto modo di tenere i contatti con l'altra sopravvissuta e con il vostro salvatore?
«Certo, Marianna lavora fuori ma ogni tanto ci vediamo. Il pescatore invece si chiamava Luigi Bartella ed era in auto con il fratello Antonio. Vide l'auto e si lanciò. Purtroppo è mancato abbastanza giovane per una malattia, ma con lui avevo un bel legame. Abitavamo vicini e ho avuto modo di ringraziarlo».
Altri ricordi dei giorni successivi?
«Mi risvegliai all'ospedale di Piove di Sacco e ricordo quei dieci giorni di convalescenza. Ne seguirono diversi problemi psicologici: mia mamma dice che avevo incubi ricorrenti. I medici consigliarono di farmi cambiare aria. Siccome avevo una zia suora in un asilo a Thiene, venni trasferito da lei per tutta l'estate».
A distanza di cinquant'anni si sente un miracolato?
«È una sensazione decisamente strana. Adesso partecipo sempre a questa commemorazione da sindaco e sono felice che quest'anno il vescovo abbia accettato di celebrarla. Il paese di Codevigo e soprattutto la frazione di Conche sono stati profondamente segnati, direttamente o indirettamente. La perdita di dieci bambini, tutti insieme, è una strage enorme. Il paese non ha mai dimenticato ed è importante che ogni anno questo ricordo venga rinnovato».
Intanto avete rinnovato il monumento alla memoria.
«Sì, abbiamo fatto dei lavori di manutenzione perché dopo molti anni ce n'era bisogno. Io vivo poco distante, ci passo davanti ogni giorno e i flash sono ricorrenti».
Codevigo fu segnata da questa strage ma pochi anni prima aveva già vissuto un altro dramma...
«Sì, l'alluvione del '66 qui provocò danni enormi portandosi via anche l'ex cimitero. Centinaia di famiglie rimasero a lungo sfollate. Neanche il tempo di riprendersi da quello choc e ci fu quest'altra tragedia».
Ha mantenuto la documentazione dell'epoca sulla strage dello scuolabus?
«Tutto. Articoli di giornale, fotografie e altro materiale. Conservo ogni cosa gelosamente in una cartellina. È la storia del paese ma è anche la mia».
Cos'ha pensato il 3 ottobre 2023, il giorno della strage del bus di Mestre?
«Quel fatto mi ha portato a fare molte riflessioni sia da sindaco che personali. Ho pensato alla fatalità: perché quel giorno di 50 anni fa mi sono salvato io e non altri miei compagni? Il destino ha voluto che io fossi seduto davanti e venissi sbalzato fuori dallo scuolabus. Il destino ha voluto che quel pescatore si fosse scordato i remi e stesse tornando a prenderli. Il destino esiste e noi lo subiamo. In negativo e in positivo».